È uscito il suo primo album composto da sette brani

La canzone d’autore atipica del musicista catanzarese Apo

di GIANLUCA VELTRI (Il Quotidiano del Sud)

Si fa chiamare Apo e non vi dirà perché. Il suo nome è Pierluigi Grottola e non si può certo dire che per il suo esordio discografico abbia fatto le cose a caso. Il musicista catanzarese, da tempo di stanza a Cosenza, dopo anni dietro le manopole dell’arrangiatore e del compositore, ha deciso di metterci la faccia e la voce, pubblicando il primo album a suo nome.

Il titolo è come l’enigmatico pseudonimo scelto: “Apo”. Un omaggio a Ocalan? Mistero che l’interessato non scioglie.

Accompagna il cd un libretto di ricchezza sfarzosa frutto di cura certosina, nel quale viene scandagliata ogni possibile curiosità attorno alla pubblicazione, incluse alcune pagine dedicate alle chitarre suonate da Apo.

Il disco si compone di sette tracce; alcune sono lunghe mini-suite. Musica klezmer, jazz, barocco, swing – tutto piegato dentro la logica e il perimetro della canzone d’autore. Una canzone d’autore peraltro decisamente atipica, che declina padri nobili cangianti e ampiamente rivisitati da Apo, sia che si tratti del Branduardi da castello medioevale riecheggiante in “Amore in fiore”, sia che si strizzi l’occhio a uno scatenato Buscaglione, com’è il caso di “Stronza”, il brano apripista che ironizza su certo machismo e sulla guerra dei generi, il cui video è stato girato a fumetti con intermezzi da cinema muto. Le canzoni del disco sono avvolte in un dondolante senso di intermittenza, di baluginante imprevedibilità; armonicamente spiazzanti, di certo non adatte a un ascolto pigro o distratto. Apo è curiosamente pervenuto alla musica d’autore come a un porto di arrivo e non di partenza. I suoi ambiti di provenienza sono soprattutto altri: la poesia, la musica etnica e tradizionale, la ricerca antropologica sul campo, gli studi di lingue e letterature straniere -in cui è laureato-, il jazz. Per tutto questo, la sua visione della canzone d’autore è sovente sghemba e obliqua, con frequenti modulazioni di ritmo e di tonalità, incursioni nel progressive, bruschi cambi di scenari, che rendono le canzoni come piccoli film con una loro carica visiva interna. Così la parodia e l’invettiva si alternano al sogno; l’aulico canto cortese al racconto conradiano, magari sottocoperta. Un posto a sé lo occupa “La fune nel pozzo”, pezzo centrale del disco, che ci svela gli stati d’animo pescati nel pozzo dell’artista: malinconia (“compagna difficile e amata”), follia (“sacrale ossessione per tempo scandita”), allegria (“realizzata utopia”). Il tutto culmina nell’esperanto pseudo-ashkenazita di “Kupargeltmatmonitinkentain”, festoso commiato in finto tedeco che dovrebbe essere non-sense e però in fondo alla fine un senso ce l’ha.

Mai minimalista, la proposta di Apo fa la spola tra sinfonismi e jazzismi, con una ricca tastiera timbrica di strumenti che avvolgono le chitarre e tantissimi amici che prestano contributo al lavoro: Carlo Cimino, Luca Parise, Alessandra Palmieri, Piero Gallina, Angelo Rotondaro, Gianluca Visciglia, Joe Santelli e molti altri.

ti porterò lì (anteprima) amore in fiore (anteprima) stronza (anteprima) sotto coperta (anteprima) la fune nel pozzo (anteprima) iridescenze (anteprima) kupargeltmatmonitinkentain (anteprima)